Padre Alsabagh: Quotidianamente colgo segnali di solidarietà e rispetto reciproco tra i credenti delle due religioni - Il Blog Comitato Nazarat - Nazarat

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Padre Alsabagh: Quotidianamente colgo segnali di solidarietà e rispetto reciproco tra i credenti delle due religioni

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Storie di convivenza tra cristiani e islamici. Viaggio nella città di Aleppo dove la fragile tregua sembra resistere.

Aleppo, la città da ricostruire nel segno dell’amicizia tra musulmani e cristiani
Mentre in Siria la guerra continua e i grandi della terra discutono le sorti di questo Paese, ogni giorno, ad Aleppo, si rammendano pazientemente e tenacemente vite lacerate dal dolore e dalle privazioni e si tessono quei legami di cura, ospitalità e dedizione che consentono a donne, uomini e bambini cristiani e musulmani di non precipitare nello sprofondo della disperazione inconsolabile.  

Padre Ibrahim Alsabagh, siriano, 45 anni, parroco della chiesa di San Francesco, guardiano del convento, vicario episcopale e responsabile della comunità latina di Aleppo, inizia a raccontare la quotidianità della città mettendo in evidenza i legami che coinvolgono anche persone di fede diversa. «Nella zona dove viviamo, governata dall’esercito regolare, la convivenza fra cristiani e musulmani è sostanzialmente buona. Diverse famiglie cristiane e musulmane sono anche unite da amicizie di lunga data, che non sono state incrinate o compromesse dalla guerra. Quotidianamente colgo segnali di solidarietà, comunione e rispetto reciproco, che noi francescani non ci stanchiamo di incoraggiare. Da parte nostra, io e i miei quattro confratelli ci prendiamo cura di tutti, senza fare distinzioni fra cristiani e musulmani: corriamo per portare aiuto materiale o spirituale e accogliamo chiunque – a ogni ora del giorno e della notte – bussi alla nostra porta».  
La vita ad Aleppo  
Da quando è iniziata la tregua, la situazione in città è cambiata e le condizioni di vita sono un poco migliorate: l’erogazione dell’acqua è ripresa, anche se non in tutte le zone della città; c’è di nuovo la corrente elettrica, almeno per qualche ora al giorno. I bombardamenti sono quasi del tutto cessati ma, riferisce padre Ibrahim, «poiché non tutti i gruppi hanno aderito alla tregua, ogni tanto si vedono missili cadere in alcune zone della città. Nessuno si sente al sicuro: siamo costantemente in allerta, timorosi che la tregua – unanimemente considerata un segno di speranza – possa venire infranta da un momento all’altro e riprendano i bombardamenti massicci. Purtroppo, dopo cinque anni di guerra, c’è ovunque grande povertà. Noi interveniamo in molti modi: vi sono kit alimentari da distribuire, medicine da procurare, malati da assistere e portare in ospedale, anziani e neonati da accudire con speciali cure, case danneggiate dalle bombe da riparare. E poi, ogni giorno, vi sono cuori feriti da ascoltare e consolare».  

Segni di speranza  
Per padre Ibrahim i buoni rapporti tra cristiani e musulmani sono particolarmente incoraggianti: «li considero segni di speranza per il futuro del popolo siriano e invito costantemente i miei parrocchiani a leggerli in questa chiave. Insieme ai fedeli preghiamo sempre per tutti gli abitanti di Aleppo e della Siria (oltre che del mondo) e ringraziamo il Signore per il bene che viene compiuto, mettendo in luce anche quello fatto dai musulmani. Ad esempio: alcune famiglie musulmane hanno ospitato famiglie cristiane che avevano perso la casa sotto i bombardamenti; oppure vi sono stati musulmani che hanno custodito le abitazioni di quei cristiani che avevano deciso di lasciare temporaneamente Aleppo.

Questi specifici gesti di carità non sono stati numerosi, ma sono accaduti e li reputo significativi.
In molti altri modi abbiamo ricevuto solidarietà e premure da parte dei fedeli islamici. Forse qualcuno di loro è stato anche incoraggiato vedendo noi cristiani moltiplicare gli sforzi per accudire e proteggere tutti, indipendentemente dalla fede professata, sull’esempio di nostro Signore Gesù».
Alcuni tradimenti  
Purtroppo, rileva padre Ibrahim, non sono mancati episodi dolorosi: «alcuni musulmani che vivevano in pace con noi si sono rivelati tutt’altro che amici e fratelli durante la guerra: hanno manifestato un cuore fondamentalista, svelando una doppiezza di vita che nessuno avrebbe potuto immaginare: ciò ha causato grande amarezza nei cristiani che li conoscevano e avevano avuto con loro ottimi rapporti.
Noi frati sosteniamo e accompagniamo questi nostri fedeli esortandoli a non chiudersi nella sofferenza. Quando le persone (ma anche intere comunità) vivono esperienze di tradimento sono facilmente esposte al rischio di ripiegarsi su se stesse preoccupandosi unicamente del proprio bene e della propria sopravvivenza, diventando avare. Noi frati ci prodighiamo affinché non prevalga l’amarezza. Questi tristissimi episodi tuttavia non offuscano la bella comunione che c’è tra molti cristiani e musulmani: è anche su di essa che, penso, si potrà ricostruire il futuro della Siria».  
La cura pastorale  
Durante questi cinque anni di guerra, nonostante le condizioni molto difficili, dice con semplice fierezza Padre Ibrahim, «la parrocchia ha sempre mantenuto tutte le attività che impegnano ogni comunità cristiana nel mondo: dai corsi di catechismo, attualmente frequentati da 200 bambini, a quelli per i fidanzati. Ogni giorno celebriamo messe, molto partecipate, sia nella chiesa di san Francesco sia nelle due succursali della parrocchia. Abbiamo aperto la Porta Santa nella nostra chiesa e seguiamo con attenzione il magistero di papa Francesco, al quale siamo molto grati per gli appelli e le preghiere a favore della Siria. Percepiamo il suo sostegno e quello della chiesa universale».
Le autorità religiose islamiche  
Di recente, ricorda padre Ibrahim, il consiglio dei responsabili della chiesa cattolica di Aleppo ha fatto visita al consiglio che riunisce le autorità religiose islamiche locali: «Abbiamo parlato per oltre due ore con grande sincerità affrontando diverse questioni, come facciamo ormai da tempo quando ci incontriamo. Ho constatato che la guerra ha modificato gli atteggiamenti di tutti: da una parte il mondo musulmano si è sentito chiamato a una maggiore sincerità e trasparenza fra il pensare, il dire e l’agire; dall’altra noi siamo diventati più coraggiosi nell’annunciare ad alta voce i principi della nostra fede e della nostra dottrina sociale, e più decisi nel pretendere, quando occorre, la libertà e lo spazio necessari per vivere con tranquillità nel nostro Paese. Questo cammino, questo lavoro di dialogo (che spero si approfondirà ulteriormente) è una sfida per tutti. Considero il miglioramento dei rapporti fra le autorità religiose cristiane e musulmane uno dei frutti buoni di questi anni di dolore».  

Cristina Uguccioni



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